Un interessante studio pubblicato nel 2000, quindi nemmeno troppo recente, mette in relazione il rapporto tra l’intensità dell’attività fisica svolta e gli effetti endocrini e metabolici che ne conseguono, misurando il rilascio di adrenalina, noradrenalina e Gh, per arrivare a valutare il dispendio energetico e l’effetto sul metabolismo di carboidrati e grassi. Ovviamente i risultati di questa ricerca, anche se non espressamente, pongono importanti riflessioni su come impostare attività fisica ai fini dimagranti nel modo più profittevole.
Lo studio in questione è il seguente: “Catecholamine release, growth hormone secretion, and energy expenditure during exercise vs. recovery in men.” Cathy J. Pritzlaff , Laurie Wideman , Jeffrey Blumer , Michael Jensen , Robert D. Abbott , Glenn A. Gaesser , Johannes D. Veldhuis , Arthur Weltman. Journal of Applied Physiology Published 1 September 2000 Vol. 89 no. 3, 937-946

Lo studio esamina la relazione tra intensità dell’attività fisica, in rapporto alla soglia del lattato, con il dispendio energetico ed il rilascio delle suddette sostanze.
L’obiettivo di questo studio è valutare se l’incremento dell’utilizzo di carboidrati durante l’attività motoria, come conseguenza della maggiore intensità di lavoro e del passaggio da attività aerobica a quella anaerobica, favorisca un maggior rilascio di catecolammine e ormone della crescita durante l’attività stessa, valutando poi il livello di ossidazione di grassi nelle fasi postume all’esercizio.

Ogni individuo partecipante allo studio eseguirà cinque diversi modelli di allenamento ed un ulteriore test a riposo. Tutti i modelli sono di durata totale 30 minuti. I risultati ottenuti serviranno per confrontare fra loro i diversi protocolli di attività. I diversi metodi di lavoro sono distinti dal fatto di essere svolti ad una intensità differente, misurata come percentuale della soglia del lattato, ossia al 25%, 75%, 100%, 125%, 175%, in riferimento ai valori di soglia ottenuti dai partecipanti durante un pretest.

Ricordo che la soglia del lattato determina il livello di attività in cui l’acido lattico prodotto non viene più adeguatamente smaltito dal corpo e pertanto inizia ad accumularsi. La soglia del lattato indica quindi l'intensità dell'esercizio in cui avviene un brusco aumento dei livelli di lattato nel sangue, livello al quale comunemente si considera il passaggio dall’attività di natura aerobica a quella di natura anaerobica. Richieste energetiche superiori alla capacità di fosforillazione ossidativa determinano infatti l’incapacità del corpo di soddisfare le richieste energetiche attraverso il solo sistema aerobico, pertanto la componente anaerobica diventa predominante e l’acido lattico da essa prodotta si accumula. A questo livello energetico il corpo infatti non riuscendo a soddisfare le richieste di ATP solamente attraverso la fosforilazione stessa utilizza sistemi energetici anaerobi. Quando la produzione di lattato supera le capacità fisiche di smaltirlo si varca la cosiddetta soglia del lattato, di conseguenza l’acido lattico prodotto inizia ad accumularsi nel corpo, per questo soglia del lattato.

I primi dati che si osservano in questi test evidenziano come, ovviamente, il consumo di ossigeno cresca progressivamente al crescere dell’intensità e come la concentrazione di lattato ematico salga quando si lavora ed intensità pari alla soglia per andare a crescere vertiginosamente quando il lavoro arriva al 125% ed ancora di più quando giunge al 175% dell’intensità di soglia. Dati che di fatto confermano il rapporto tra intensità di lavoro e produzione di acido lattico.

Andando invece a misurare i substrati energetico durante l’attività lo studio evidenzia ovviamente come il dispendio di carboidrati cresca al crescere dell’intensità. Mentre il consumo di acidi grassi complessivamente non ha una relazione precisa rispetto all’intensità, in quanto in alcuni soggetti questa cala, in altri è stabile e negli ultimi addirittura cresce.

Successivamente sono andati a monitorare il dispendio di carboidrati e grassi nelle ore successive all’allenamento ed il risultato è stato che il metabolismo glucidico è rimasto pressoché invariato, mentre il dispendio dei grassi è sensibilmente cresciuto in seguito ad attività più intensa. Questo è sicuramente il dato più interessante su cui successivamente faremo alcune riflessioni.

Proseguendo nell’analisi della ricerca, sono stati inoltre misurati i livelli di adrenalina e noradrenalina nei diversi modelli di allenamento. La concentrazione di queste sostanze incrementa repentinamente nel momento in cui si lavora oltre la soglia del lattato per arrivare a livelli più alti nel lavoro al 175% della stessa.

Così come anche il picco di Gh durante l’attività e la concentrazione di Gh a 4 ore dall’attività cresce in relazione all’intensità dell’allenamento. Anche in questo caso si evidenzia come questo ormone sia secreto maggiormente col passare ad intensità di lavoro che comportano il superamento della soglia del lattato.

Infine sono stati messi in relazione il dispendio di carboidrati ed i picchi di adrenalina e noradrenalina durante l’attività, il dispendio dei grassi in relazione alla concentrazione di Gh e delle suddette catecolammine dopo l’allenamento. In tutti i casi c’è stata una certa proporzionalità che sostanzialmente conferma il fatto che l’incremento di Gh promuove la lipolisi e l’incremento di neurotrasmettitori stimolanti promuove il dispendio glucidico e lipidico come già noto da tempo.

In sostanza questo studio evidenzia com l’ossidazione di carboidrati durante l’esercizio e l’ossidazione dei grassi nella fase di recupero cresca significativamente al crescere dell’intensità di allenamento ed in particolare nel passaggio a livelli di intensità maggiori della soglia del lattato. Allo stesso tempo mostra come il lavoro anaerobio incrementi l’attività del sistema nervoso promuovendo il rilascio di adrenalina e noradrenalina. Mentre il dispendio di grassi viene correlato all’incremento del rilascio di Gh, ormone già noto anche per la sua attività lipolitica.

Questi dati ci permettono di considerare l’attività anaerobica come strumento utile ai fini del metabolismo lipidico, rivalutando quindi il luogo comune secondo cui è solo l’attività aerobica quella consona a favorire il dimagrimento. Ciò accade in quanto l’attività lattacida determina un incremento del consumo dei grassi nelle fasi postume all’attività stessa così come i dati dello studio mostrano inequivocabilmente.
Ma oltre a questo aspetto lo studio mostra che il dispendio lipidico durante l’attività non è necessariamente condizionato dall’intensità dell’attività stessa ,mentre anche in questo caso il luogo comune afferma che in condizioni di attività anaerobica il corpo utilizzi soltanto glucosio come substrato energetico. Invece in base ai dati ottenuti, possiamo dire che mediamente l’apporto lipidico al crescere dell’intensità rimane invariato. Ciò significa che il dispendio di grassi durante forme di esercizio anaerobio rimane simile a quello di esercizi aerobici, in aggiunta all’incremento del dispendio glucidico che ovviamente cresce sensibilmente al crescere dell’intensità. In questo caso dobbiamo aggiungere però che i diversi campioni sottoposti allo studio danno risultati diversi fra loro, ciò significa che c’è una certa variabilità individuale.

In conclusione i dati ottenuti in tale studio ci permettono di considerare che anche diverse forme di attività di natura anaerobica possono essere utili nel promuovere il metabolismo lipidico. Più precisamente questo studio evidenzia come maggiore è l'intensità dell’esercizio svolto e maggiore di conseguenza il dispendio di carboidrati durante l’attività, maggiore sarà il dispendio di grassi nelle fasi postume all’allenamento, a tutto vantaggio nei casi in cui si svolga attività motoria anche con fini dimagranti.


PERSONAL TRAINER ONLINE
a cura di Nicola Sacchi



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